
Pericolo PFAS nel cibo - gustoblog.it
I PFAS, sostanze chimiche resistenti e dannose, si trovano anche in alimenti e utensili da cucina. Scopri come si diffondono e quali accorgimenti usare ogni giorno.
Negli ultimi anni, il termine PFAS è diventato sempre più presente nel dibattito scientifico e nella cronaca. Parliamo di composti chimici artificiali, utilizzati per rendere materiali impermeabili, resistenti al calore o al grasso. La loro pericolosità deriva dal fatto che non si degradano facilmente, né nell’ambiente né nel corpo umano, dove tendono ad accumularsi. Non si tratta di contaminanti industriali relegati a siti remoti: i PFAS sono entrati nel ciclo alimentare, nella cucina domestica, nei prodotti che usiamo ogni giorno. E la consapevolezza su come arrivino nel nostro organismo è ancora parziale.
Il cibo come veicolo invisibile di contaminazione
La presenza dei PFAS negli alimenti avviene attraverso diverse strade. Alcuni prodotti assorbono queste sostanze direttamente dal terreno o dall’acqua, in zone esposte agli scarichi industriali. Altri vengono contaminati durante la cottura o il confezionamento. I contenitori usati per cibi pronti, fast food o surgelati sono spesso trattati con rivestimenti anti-grasso, che rilasciano PFAS in piccole quantità. Lo stesso rischio si verifica con le padelle antiaderenti, soprattutto se usurate: il calore può far migrare queste sostanze nel cibo.

Anche prodotti di uso quotidiano come uova o ortaggi possono risultare contaminati, specie se l’ambiente di produzione è esposto a composti perfluorurati. In assenza di segnali visibili, si rischia di introdurre queste sostanze nel corpo in modo lento, costante, e spesso senza saperlo. Alcuni studi hanno segnalato la presenza di PFAS anche in alimenti confezionati o lavorati industrialmente, suggerendo che l’origine della contaminazione non sia sempre facilmente individuabile.
La loro diffusione silenziosa e la difficoltà nell’espellerli li rendono un problema sanitario rilevante. È per questo che enti di ricerca e autorità pubbliche stanno cercando di costruire banche dati aggiornate e strumenti informativi. Ma sul fronte pratico, molto può partire dalle scelte di ogni giorno.
Materiali sicuri e abitudini quotidiane per ridurre il rischio
Nonostante il quadro normativo sia ancora in evoluzione, alcune buone pratiche domestiche possono aiutare a contenere l’esposizione. Prima di tutto, conviene evitare l’uso di padelle e utensili con rivestimenti antiaderenti sconosciuti o danneggiati, preferendo materiali più stabili come acciaio inox, ghisa o ceramica. Anche per la conservazione dei cibi, è meglio scegliere vetro o acciaio al posto della plastica, in particolare quando si tratta di alimenti caldi o grassi, che possono favorire il rilascio dei composti chimici.
Quando si fa la spesa, è utile informarsi sulla provenienza dei prodotti freschi, soprattutto verdure a foglia larga, uova e pesce. I prodotti biologici o tracciati riducono il rischio di contaminazione da pesticidi o acque inquinate. Lavare accuratamente frutta e verdura prima di consumarle resta una precauzione efficace, così come lavarsi le mani prima dei pasti, per limitare il trasferimento di sostanze chimiche dai materiali di uso comune.
Oltre alle buone abitudini, anche la trasparenza delle aziende può fare la differenza. Alcuni produttori stanno iniziando a eliminare i PFAS dai loro imballaggi, ma serve una spinta maggiore per estendere questa scelta a livello industriale. Intanto, ogni gesto consapevole in casa può contribuire a limitare l’accumulo di sostanze che, una volta entrate nel corpo, sono difficili da espellere. La cucina, in questo senso, può diventare il primo spazio di difesa quotidiana.