Il Capasonato, in Puglia il vino nelle anfore di terracotta
Avete mai bevuto un vino invecchiato in un’anfora di terracotta? Forse sì, ma sicuramente starete pensando ai famosi vini di Gravner o alle produzioni del sud del mondo. Ed invece c’è in Puglia una bella realtà vitivinicola che fa dell’uso del “Capasone” la sua identità. Si tratta di Vinicola Savese, della famiglia Pichierri, che da inizio secolo è attiva nella produzione di vino – soprattutto Primitivo – nella zona di Sava, provincia di Taranto.
La stua storia affonda le radici (è proprio il caso di dirlo) nelle prime produzioni di questo vitigno, adesso salito alle cronache come una delle migliori espressioni autoctone italiane. Un tempo però, quando ancora non esisteva un mercato tanto attivo di botti e legno, i vini venivano conservati o in cisterne di cemento o nei più classici vasi in terracotta – detti Capasoni – che veniva prodotti sempre nella provincia tarantina (a Grottaglie c’è una grande tradizione di terracotta e ceramica).
Il vino veniva lasciato invecchiare in questi vasi per anni ed anni, sicuri che non si alterasse per mancanza di scambio di ossigeno con l’esterno. Fieri di questa tradizioni, la famiglia Pichierri nel momento di cambiare la sede alla propria cantina, si è vista costretta ad aprire e svuotare i vecchi capasoni – pieni da oltre 30 anni – che erano ormai diventati un elemento caratterizzante della propria cantina. Da lì l’idea: imbottigliare parte di questo vino e renderlo disponibile ai consumatori.
Nasce così il Capasonato, etichetta prodotta in quantità limitata, che ho avuto di assaggiare durante una degustazione. In una bella bottiglia, molto elegante, il vino è un blend di primitivo del 1984 e 1985, conservato da allora all’imbottigliamento nei capasoni. Nel bicchiere il vino si presenta scuro ed impenetrabile, rosso granato intenso con una leggera unghia mattonata. Il naso è caratterizzato da un ampio bouquet, in cui si riconoscono subito sentori di frutta appassita, fico e prugna secca, una nota vinosa che ricorda ancora il frutto appena spremuto, note terziarie di humus e tabacco, il tutto con grande eleganza ed austerità. In bocca è pieno, di bel corpo, con grande calore e buona morbidezza. Ma nonostante la sua “ciccia” questo vino conserva ancora freschezza e sapidità, che rende il sorso bello e appagante. Nel retrogusto arriva una leggera nota speziata assai gradevole.
Un vino unico, sia per la sua storia sia per la sua irripetibilità.
Foto | Manila Benedetto
E il mondo dovrebbe cominciare a mangiare meglio.
Agrodolce racconta i luoghi e le persone del buon mangiare e del buon bere. Controlla la nostra Email ogni giorno e dicci se ci riusciamo.
Se vuoi aggiornamenti su Il Capasonato, in Puglia il vino nelle anfore di terracotta inserisci la tua email nel box qui sotto:
Compilando il presente form acconsento a ricevere le informazioni relative ai servizi di cui alla presente pagina ai sensi dell'informativa sulla privacy.
Abbiamo ricevuto la tua richiesta di iscrizione. Se è la prima volta che ti registri ai nostri servizi, conferma la tua iscrizione facendo clic sul link ricevuto via posta elettronica.
Se vuoi ricevere informazioni personalizzate compila anche i seguenti campi opzionali.
Compilando il presente form acconsento a ricevere le informazioni relative ai servizi di cui alla presente pagina ai sensi dell'informativa sulla privacy.